Il commento più salace è stato quello di Alberto Montalbano, che sulla sua pagina Facebook ha invitato i cani randagi ad orinare sui piedritti di piazza Scandaliato “abbelliti” con gli stemmi delle famiglie nobili di Sciacca. “Vendicate i servi della gleba che questi parassiti con lo stemma hanno sfruttato per secoli”, scrive l’acuto giornalista. Salvatore Monte, invece, è contento dell’iniziativa, voluta dai Lions di Sciacca. Ne viene fuori l’ennesimo capitolo di un confronto secolare, ossia quello tra “miseria e nobiltà”. A dimostrarlo è, peraltro, la stessa disputa sulla destinazione delle spoglie mortali di Vittorio Emanuele III (quello che autorizzò le Leggi razziali, tanto per intenderci). I discendenti chiedono che vadano a riposare all’interno del Pantheon, insieme a quelle dei reali predecessori. La questione sciacchitana merita meno riflettori, s’intende. Questione che, tuttavia, si sta caratterizzando anche per altre ragioni, quelle relative alle modalità tecniche di applicazione di questi stemmi in maiolica. In effetti sembrano solo dei “rattoppi” attaccati alla bell’e meglio con la Coccoina, quasi come se fossero stati destinati a coprire qualche crepa. Rischia di sfuggire però il fatto simbolico. Quello che contrappone da un lato la necessità di mantenere la memoria storica e, dall’altro, la evidente contraddizione di doverlo fare in quella piazza già denominata “del Popolo”. Sì, quel “Popolo” che la nobiltà, per antonomasia (storia e letteratura sono pregne di aneddoti), tendeva ad escludere. È come se, simbolicamente, il “Popolo” rendesse omaggio a chi li sfruttò. Una città dalle nobili (quelle sì) fondamenta come Sciacca, dovrebbe analizzare in maniera esemplare la qualità culturale delle proprie iniziative. Non è in discussione né il principio della discendenza, né quello della valorizzazione della storia. In discussione c’è il principio dell’opportunità.
Stemmi nobiliari sulle colonne della piazza del Popolo: ennesimo capitolo del secolare confronto tra miseria e nobiltà
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