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Comune di Sciacca

Commenti. Tra paesaggio e paesaggistica, Sciacca: città “paesaggisticamente scorretta”.

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Con una serie d’interventi su Risoluto.it, l’architetto saccense Paolo Ferrara cercherà di analizzare la situazione paesaggistica di Sciacca, evidenziandone le criticità e proponendo eventuali soluzioni.

È indubbio che la Sciacca odierna sia paesaggisticamente portatrice di molte negatività. È una situazione certamente critica che, però, grazie alle qualità che la città e il territorio possiedono, ha ancora larghi margini di recupero. Le problematiche paesaggistiche di Sciacca necessitano che si progetti al meglio (a prescindere da qualsiasi strumento urbanistico) il futuro della città, incentrando l’obiettivo sullo sviluppo qualitativo che, soprattutto nell’ultimo cinquantennio, è stato palesemente mortificato da molti fattori: disordine edilizio, assoluta precarietà nella cura e nella preservazione e innovazione (in molti casi anche “funzionale”) delle emergenze architettoniche, abbandono del territorio/paesaggio. Per essere “città contemporanea”, cioè realmente moderna rispetto alle nuove istanze del XXI secolo, Sciacca deve lavorare alla “rigenerazione” delle sue ricchezze. Il tema è, dunque, “rigenerare” gli “organi vitali” che compongono la sua straordinaria ricchezza architettonica/territoriale/morfologica. Per farlo, l’unica programmazione da attuare è quella che pianifichi al meglio la “Paesaggistica”.

Ma cosa è la “Paesaggistica”? Posto che non va identificata con il “Piano paesaggistico”, per approfondirne i significati è necessario partire dal concetto di “contesto”, termine che, allorquando si parla di architettura e/o paesaggio, è troppo spesso abusato o usato impropriamente.  Mutuato dalla linguistica e dalla semiologia, il termine “con-testo” presuppone l’esistenza di un “testo”, cioè di tutto ciò che, quando non si usa il linguaggio parlato, si esprime attraverso dei “segni”: un libro è un “testo”, così come lo è un qualsiasi altro documento scritto; ma lo è anche tutto ciò che, attraverso il linguaggio parlato, è impossibile esprimere appieno: l’architettura, la scultura, la pittura, la danza, l’arte in genere, poiché espressioni che si esplicano attraverso “segni” propri. Se pensiamo al “territorio/paesaggio” quale elemento formato dai “segni” del paesaggio naturale (monti, pianure, mare, fiumi, etc.), arriviamo facilmente alla conclusione che esso è l’unico vero “contesto” poiché  esiste sin da prima che la “storia” (antropizzazione) fosse scritta. Esemplificando: il Monte Kronio così come la natura l’ha fatto è il contesto in cui si sono inseriti prima la chiesa e poi gli alberghi. Poi, solo nel momento che precede l’inserimento dei nuovi segni, quando essi sono pensati e pianificati per quel luogo, il Monte Kronio si pone quale “pre-testo” (cioè “testo” già esistente). Infine, con l’inverarsi dell’inserimento dei nuovi segni (chiesa e alberghi), la sinergia tra questi e il Monte Kronio forma un nuovo “contesto”. L’architettura è  tra i “segni” dell’antropizzazione (sia essa espressa dalla chiesa del Monte Kronio, dai grattacieli di New York, da un capanno indigeno) ed è, dunque, “testo”, “linguaggio composto di segni architettonici”. Considerando che la città è formata prevalentemente dall’architettura, è essa stessa un “testo”, formato da “parole di architettura”.

Il primo passo è fatto: la “città” è un “testo”, formato da molti tipi di “segni” (architettura, parchi, giardini, strade, marciapiedi, piazze, semafori, cartelli stradali, etc.) che, inserendosi nel “territorio / paesaggio naturale”, con esso conformano la “Paesaggistica”. In sintesi, possiamo affermare che la Paesaggistica è il “testo” che, leggendolo, ci racconta che tipo di risultato abbia prodotto la sinergia tra paesaggio naturale / territorio + città / infrastrutture. Dunque, ripartire dalla “rigenerazione della Paesaggistica” significa considerare non solo la valorizzazione della natura secondo i canoni classicisti bensì prendere atto che anche la città, il suo costruito tutto, è “paesaggistica”. Per “leggere” ciò che ci racconta il testo “Paesaggistica” serve comprendere anche la sostanziale differenza che vi è tra architettura e urbanistica. La prima si esprime tramite la tridimensione dei manufatti (nel cui spazio interno possiamo entrare e viverlo) e nel rapporto tra essi, che è l’ambito spaziale aperto in cui ci muoviamo (le strade, le piazze, etc.). L’urbanistica, invece, è mera pianificazione bidimensionale fatta su carta che, come spiegava perfettamente Giuseppe Samonà, pianifica il traffico, la circolazione, gli spazi verdi e le lottizzazioni, ma dimentica gli edifici nel loro essere “architettura”, relegandoli a espressione dei regolamenti edilizi (alti tot, larghi tot, etc.).

La “paesaggistica” di Sciacca. Avendo compreso il significato di “contesto”, “architettura”, “urbanistica”, risulta facile capire che “paesaggio” e “paesaggistica” sono due cose diverse, non interscambiabili. Chiaro, allora, che una cosa è dire che Sciacca ha “grandi bellezze di paesaggio” (elementi forniti dalla natura) e altra cosa è dire che Sciacca ha “grandi bellezze paesaggistiche” (elementi scaturiti dalla configurazione ambientale dettata dal trapasso da uno stato meramente geografico-fisico -il “paesaggio”- a un ordinamento spaziale antropico). E’ questa la fondamentale differenza da cogliere per procedere alla “rigenerazione” della straordinaria ricchezza architettonica / territoriale / morfologica di Sciacca, le cui bellezze del paesaggio erano innumerevoli ma che poi, con interventi di paesaggistica scorretta, sono state quasi totalmente mortificate: gli uliveti della pianura della Perriera totalmente distrutti; la costa aggredita da edificazione insediata praticamente sulla spiaggia; la costruzione di palazzi che hanno preso il posto di ville storiche o che sono stati posti sull’antica e storica cinta delle Mura; zone di nuova espansione prive di aree a verde (persino il cimitero nella sua nuova area non presenta alcuna alberatura); sostituzione edilizia nei nuclei antichi della marina e della zona tra San Michele e la Chiazza, etc. La nuova istanza per affrontare le criticità paesaggistiche dovrà essere: allorquando si tratta d’intervenire nella pianificazione della città futura, come si deve attuare la “rigenerazione paesaggistica”? Come fare collaborare architettura e natura? Come gestire il tessuto edilizio esistente, sia esso quello del centro antico sia esso quello delle successive espansioni? Certamente, la “rigenerazione paesaggistica” non è operazione che possa essere delegata ai soli strumenti urbanistici. Basti vedere che risultati hanno prodotto ad oggi: innumerevoli manufatti / scatoloni edilizi che, proprio perché improntati a essere espressione del massimo sfruttamento della “cubatura” consentita, nella quasi totalità dei casi disconoscono la qualità architettonica; altrettante villette costruite con il tetto a falda (in effetti, cade tanta neve a Sciacca…), per il solo scopo di sfruttare al massimo il volume edilizio e, così facendo, aggirare le stesse regole di abitabilità dettate dalle norme tecniche di attuazione o dal Regolamento Edilizio. E nulla cambierà con il PRG, alla cui adozione / approvazione / attuazione la politica demanda la risoluzione dei problemi della città e del suo territorio. Basti dire che il PRG è stato “adottato” da ben due anni, ma della sua “approvazione” non se ne vede immediato futuro. Consci delle lungaggini attuative del PRG, i futuri amministratori dovranno porre in essere azioni che possano mettere in moto un vero processo rivoluzionario nell’approccio alla “paesaggistica”: pianificare, sin da subito, quegli interventi che prevedono la “rigenerazione” della città in tutte le sue parti, ciascuna per mezzo delle proprie potenzialità, siano esse architettoniche o ambientali. Ogni parte di Sciacca, anche quella più trascurata e che sembra irrecuperabile, ha in sé potenzialità da cui fare partire la “rigenerazione”. Bisognerà essere in grado di gestire le conflittualità presenti nella città / paesaggio / territorio (la triade conformante la “Paesaggistica”), cioè essere  contemporanei alle problematiche che ci pone la “paesaggistica” di Sciacca, frutto dei danni causati a partire dagli anni ‘60 del secolo XX, momento da cui, malamente, nacque la “Sciacca per parti” sviluppata  in differenti  espansioni / antropizzazioni slegate tra loro, tutte con poca attenzione alla qualità che la crescita urbana dovrebbe sottintendere: Perriera, Isabella, Lido, Foggia, San Marco, Carbone.

Lo stato delle cose dimostra chiaramente che la crescita della città non ha saputo essere elemento di valorizzazione del territorio / paesaggio e, al contempo, non ha saputo preservare le emergenze storico / artistiche esistente. La “Sciacca contemporanea” è “paesaggisticamente scorretta”. A poco servono le opere di “riqualificazione” (termine assolutamente abusato e alquanto noioso) di qualche aiuola, di fontane, di pavimentazioni delle vie e dei vicoli.  Prima ancora di affidarsi alle fumosità delle tavole tecniche e delle tabelle del PRG, chi -a breve- amministrerà dovrà programmare azioni decise, incisive e attuative partendo dal censimento delle “criticità paesaggistiche”, così da avere gli strumenti necessari per predisporre la giusta terapia dopo averne fatto la diagnosi. I principali interlocutori, cui delegare tali azioni, dovranno essere professionisti del settore, cultori, associazioni culturali, artisti, che da anni s’impegnano affinché Sciacca possa rialzare la testa. Figure capaci e preparate, cui è ben chiaro il significato di “impegno civile”. Tramite la loro azione foriera d’idee, si potranno ribaltare i termini del rapporto tra politica e società civile: dovrà essere la politica a mettersi al servizio della società civile, lavorando al raggiungimento degli obiettivi scaturenti da quelle idee che abbiano l’unico scopo di ridare dignità a Sciacca.

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