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Non ottiene il lavoro perché ha la scorta, la figlia del testimone di giustizia Ignazio Cutrò esclusa dal lavoro

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L’episodio si è verificato ieri mattina, quando la giovane Veronica Cutrò, figlia del testimone di giustizia, Ignazio Cutrò che con le sue denunce ha portato allo svolgimento di alcuni importanti processi che hanno condannato alcuni esponenti di spicco delle famiglie mafiose della bassa quisquina, ha risposto all’annuncio di lavoro in un bar di Bivona, nel quale si cercava una barista per la stagione estiva.

La ragazza di 25 anni, si è vista rifiutare il lavoro perché il titolare non avrebbe gradito la presenza degli uomini della scorta nel suo locale che hanno accompagnato Veronica essendo sotto il programma di protezione insieme al resto dei componenti della famiglia Cutrò che ha scelto di vivere a Bivona rifiutando sempre il trasferimento in una località segreta.

Dopo l’ennesimo episodio di esclusione e isolamento che la famiglia Cutrò vive, ora l’imprenditore antiracket sembra aver cambiato idea «È tutta colpa mia – ha scritto sul suo profilo Facebook – scrivo con grande umana sofferenza per l’ennesimo boccone amaro che la mia famiglia è costretta a inghiottire dopo avere appreso la notizia che una proposta, seppur informale, di lavoro seppur temporaneo è stato rifiutato a mia figlia Veronica per colpa di… avere un padre che ha denunciato la mafia della bassa quisquina – scrive — per essere scortata dell’Arma dei Carabinieri? No, per qualcosa di molto più grave. Lo dico con le parole del comico siciliano Pino Caruso che dall’alto dei suoi ottanta anni scrive che “se tu sei una persona onesta allora nessuno, in virtù della tua onestà, si fiderà più di te. Ecco accade che in Sicilia si capovolga la realtà, il senso logico del vivere civile per cui, siccome hai denunciato e testimoniato nei processi contro i mafiosi del tuo paese non sei degno della stima e del rispetto di molti tuoi concittadini. Accade pure, è questa è la parte più vergognosa, che nemmeno i tuoi figli si salvano dal disprezzo e dell’isolamento. Fa molto male tutto questo – continua a scrivere il testimone- mi fa male come padre, fa tanto male come cittadino italiano e come bivonese. Da genitore sono consapevole che nessun figlio deve “pagare le colpe dei padri”, non pronuncerei mai né tantomeno augurerei mai ai figli dei miei nemici di vivere il disprezzo e l’isolamento solo perché figlio o figlia di un mafioso pezzo di merda».

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