Ventiquattro ore fa, dunque, l’ATI ha tracciato il solco per addivenire alla famigerata risoluzione del contratto con Girgenti Acque. Ma, come se dieci anni di dibattito non fossero bastati, occorre produrre tutto il carteggio riguardante le presunte inadempienze. Insomma: ci vogliono le prove. Com’è giusto che sia, ci mancherebbe altro. Prossimo step: a settembre. Ma la questione intanto rileva sotto profili diversi. Non solo perché l’Italia è il Paese dove non è bastato un referendum con una valanga di no alla gestione privatistica dell’acqua (che, almeno formalmente, è sempre “pubblica”), ma perché, di fatto, se addio a Girgenti Acque sarà, gli scenari successivi saranno piuttosto complicati. Sciacca, per fare un esempio, deve valutare per tempo l’ipotesi di un “piano B”. Che, diciamocelo con tutta franchezza, al momento, non esiste. Perché il rischio che si passi dalla padella alla brace è alto. Il Comune non ha un ufficio idrico come, per esempio, Menfi. Perché, a differenza di Menfi, qui le risorse venivano gestite dall’EAS. E allora? Se, putacaso, domani si tornasse in possesso degli impianti, chi aprirebbe il rubinetto? Chi farebbe la manutenzione degli impianti? Chi riparerebbe le perdite idriche? Non è per fare i bastian contrari, ma sarebbe il caso che si cominciasse ad occuparsi anche di questi problemi. Perché altrimenti quella che si “rischia” di vincere, è una battaglia che aprirebbe un fronte problematico. È immaginabile una società mista pubblico-privata? Ma non si era detto che sull’acqua non si doveva lucrare? Il privato che ruolo avrebbe, se non quello di conseguire un guadagno? Tutte risposte che, oltre alla battaglia politica, il sindaco Valenti dovrà cominciare a trovare, pur continuando a combattere la battaglia di civiltà contro ogni sopruso, soprattutto su quelli che si sono verificati sulla gestione delle risorse idriche.
Scattata l’exit strategy da Girgenti Acque. Ma non c’è alcun “piano B”. Non sarebbe il caso di elaborarlo?
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