Cronaca / Attualità

Il Museo Archeologico di Caltabellotta raccontato da Giuseppe Rizzuti

Dopo parecchi secoli dalla sua edificazione e diversilustri di abbandono, questo complesso architettonico situato nel centro storico della cittadina montana assumerà di nuovo un ruolo importante. Adesso però pacifico e tranquillo, e potrà essere visita senza alcuna costrizione in quanto diventerà Museo Civico.

In alcuni documenti è chiamato Palazzo Signorile; Lillo Pumilia ama definirlo Palazzo della Signoria, probabilmente a ragione, ma dalla maggior parte dei caltabellottesi è conosciuto come il Carcere Vecchio, a causa del suo penultimo tristissimo utilizzo.

Oggi però la cosa più importante è che si è ultimato il restauro architettonico e un duplice riuso funzionale: come Museo Civico e come Sede di Rappresentanza del comune. 

Le nuove destinazioni d’uso, peraltro compatibili, serviranno sicuramente a dare lustro a entrambe le istituzioni avendo insite un chiaro indirizzo per la Caltabellotta del futuro. 

Non più un paese esclusivamente agricolo, i cui prodotti finora hanno costituito reddito primario per una larga fascia della popolazione, ma a questi andranno aggiunti quelli derivanti da attività legate al turismo e all’agriturismo.

Il Palazzo della Signoria o Carcere Vecchio che dir si voglia sorge nel cuore del centro storico di Caltabellotta, su quella via Matrice che permette di raggiungere dalla piazza Umberto I la zona alta della cittadina montana chiamata Terra Vecchia, ricca di monumenti, di storia e di leggende.

Non sappiamo se la struttura sia stata adibita a carcere fin dalla sua fondazione. Probabilmente no. Sicuramente lo è stata dall’Unità d’Italia fino agli inizi del Novecento. L’istituzione di una struttura carceraria a Caltabellotta si può fare risalire con buona probabilità all’epoca della dominazione spagnola in Sicilia, quando le carceri avevano, per i dominatori, un’ estrema importanza. Sotto questo aspetto e al di là del notevole valore architettonico, il “carcere vecchio” ha un valore altamente simbolico in quanto ha rappresentato per secoli il segno del potere dell’oppressore prima e quello dello Stato autoritario dopo.

Per tutta la seconda metà dell’Ottocento e i primi del Novecento imperversò in Sicilia il triste fenomeno del banditismo e, purtroppo, Caltabellotta vi ebbe un ruolo di primo piano. Anche nei comuni circostanti operarono diversi famosi fuorilegge con bande numerose e sanguinarie; ma il caltabellottese Paolo Grisafi soprannominato “Marcuzzu” lo fu su tutti. 

Fu l’epoca del Prefetto di ferro Cesare Mori che in due periodi diversi, nel biennio 1916/1917 e dopo il suo ritorno in Sicilia (nel decennio dal 1920 al 1930), realizzò diverse operazioni antibanditismo utilizzando sistemi sbrigativi e quasi coloniali.

Interi paesi vennero circondati da migliaia di carabinieri e furono effettuate retate gigantesche chiamate “associazioni”. Due di queste furono effettuate tra Caltabellotta e il suo hinterland e la struttura, di cui ci stiamo occupando, ebbe un ruolo di rilievo. La prima “associazione” avvenne nel 1916 e in una sola notte furono arrestate 366 persone. Preludio alla cattura del bandito “Marcuzzu” che doveva avvenire il successivo 22 gennaio 1917.

La retata più importante però fu attuata nel 1927, quando nelle due notti del 12 e del 13 dicembre furono arrestate nel circondario circa 700 persone, di cui 90 caltabellottesi. In verità pochi erano i colpevoli ma tutti rimasero in carcere lo stesso per parecchi anni fino allo svolgimento dei processi iniziati nel 1931, che non poterono essere celebrati nelle normali aule di Tribunali, dato il gran numero di detenuti.

Furono utilizzate allo scopo chiese sconsacrate e quella dello Spasimo di Sciacca divenne in quel periodo tristemente famosa. I maxi processi pertanto non sono una novità né per la mafia né per la Sicilia.

Lo storico Salvatore Massimo Ganci così scrive su quell’epoca: “…La lunga campagna di polizia giudiziaria ebbe il grave torto di non discernere talora i buoni dai tristi, di accomunare banditi a uomini della mafia e a costoro talvolta persone incensurate e perbene … i quali mai dimenticarono ne perdonarono. … dal 1930 sino al 1943, la tranquillità regnò nella campagna siciliana: per i ricchi, ma anche per i poveri. Di guisa che, se la parola libertà ha un significato concreto e non formale … paradossalmente si deve giungere alla sconcertante presa d’atto che questo tipo di libertà venne assicurato alle genti siciliane, proprio da una dittatura…”. 

Ma questo è un altro discorso su cui c’è molto ancora da riflettere.

Cessatone l’uso carcerario, questo complesso architettonico è stato utilizzato come sede del Littorio. Da qui, infatti, partivano i giovani in divisa per recarsi alle sfilate paramilitari. Due lapidi marmoree ritrovate all’interno della struttura durante i lavori di restauro (ormai in via di completamento) ne ricordano tale uso. Dal dopoguerra ad oggi è stato utilizzato parzialmente come deposito comunale e, a causa di una mancata manutenzione ordinaria, era caduto nell’incuria e nell’abbandono.

Dal punto di vista architettonico la semplicità della sua facciata principale evidenzia le connotazioni cinque/seicentesche, anche se alcuni brani di muratura del piano terra lasciano trasparire la presenza di strutture murarie precedenti. Quattro grosse paraste in pietra locale scandiscono con ritmo severo, l’alternanza dei pieni e dei vuoti, fra elementi portanti e bucature. Il piano terra è formato da un vano d’ingresso voltato, inframmezzato ad altri due vani laterali con accesso autonomo sempre dalla via Matrice, e che immette in un atrio scoperto da cui si diparte una scala in pietra a tre rampe avente funzione di disimpegno per le varie parti del fabbricato.

Il primo piano è composto da altrettanti vani prospicienti sulla via Matrice, mentre la restante parte del piano si allarga verso nord (sui vani terrani ex interrati) con ambienti ampi e spaziosi, a cui si può accedere da un secondo ingresso posteriore attraverso l’apertura di una vecchia strada di accesso laterale occultata da mezzo secolo e che ha fatto riemergere, data l’orografia dei luoghi, tutto il piano terra della struttura, migliorandone la visibilità dall’esterno.

Questo permetterà un più facile utilizzo dei locali nel prossimo futuro, quando a seguito del restauro in itinere diventerà, per come già detto, Museo Civico, struttura mancante a Caltabellotta specie per una comunità che vuole avere un futuro turistico. Per quello che ci è dato di sapere il sindaco si starebbe per attivare al fine di mettere su la struttura organizzativa necessaria che dovrebbe portare alla realizzazione del museo.

Questa realizzazione non poteva capitare in un momento migliore in quanto sta avvenendo in concomitanza con la campagna di scavi archeologici nella zona di S. Benedetto. 

Durante i lavori di restauro dell’ex carcere sono venute fuori delle sorprese. Si ha ragione di credere che alcune parti basamentali della struttura  potrebbero essere state brani residui di una cinta muraria medioevale incorporati, al tempo del primo impianto, nell’abitazione che si è andata a realizzare. Inoltre quello che sembrava essere un muro di sostegno nascondeva invece altri due vani piuttosto ampi, che sono stati riportati alla luce, aumentando notevolmente gli spazi utilizzabili. 

Oltre a ciò quando si decise di farla diventare struttura carceraria ne sono stati ingrossati i muri perimetrali e le aperture esterne del primo piano sono diventate finestre dotate di solide sbarre. 

Ora dopo diversi lustri di abbandono, questo complesso architettonico tornerà ad assumere per Caltabellotta un ruolo molto importante, adesso però pacifico e tranquillo e potrà essere visitato, ove lo si desideri, … senza alcuna costrizione. 

La creazione di un Museo Civico, infatti, può costituire per la Città della Pace  un utile volano per un suo auspicabile decollo turistico di un centro che con la sua storia millenaria, con le sue emergenze architettoniche, con le sue bellezze paesaggistiche, ambientali e naturalistiche ha tutte le carte in regola per poterlo ottenere.

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