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Commenti. “Sciacca Città per parti”. 2. “Spazi di Risulta” e “Aree Residuali”. Possibilità di rigenerazione. A cura dell’arch. Paolo Ferrara

Continua la disamina sugli “spazi di risulta” e le “aree residuali”, iniziata con la prima parte dell’intervento pubblicata su Risoluto.it lo scorso 20 maggio.
Seconda parte.
Piazza Don Luigi Sturzo/Belvedere (Porta Palermo) – Area residuale. Si tratta di un luogo identificato quale “piazza” ma che, in realtà, è uno “slargo” veicolare con annesso parcheggio, un luogo il cui contesto è il caos. Parliamo di una zona residenziale/commerciale di primaria importanza, nodo d’interconnessione tra il Nucleo Antico e gli ambiti di Via Kronio/Via Mazzini e Via Cappuccini, ma che, nelle condizioni in cui versa, non è però organo fisiologico e funzionale al “sistema-città”.
Per questi motivi, non è azzardato ascriverla nella categoria urbana delle “aree residuali”, ponendosi quale altro esempio della mancanza di consapevolezza da parte degli amministratori di ciò che significa gestire le potenzialità della città. Lo dimostrano anche gli avvenimenti del 2010, quando la causa del suo status negativo fu identificata esclusivamente nell’ex stazione di servizio dell’Agip (poi Tamoil), costruita negli anni ’60 del XX sec. Il risultato ne fu l’abbattimento, con la convinzione dei suoi detrattori che ciò sarebbe bastato (così come ebbe a dire più di un politico) per «riqualificare la piazza, che è molto bella, sostituendo la stazione di servizio con panchine e fioriere». Allo stato dei fatti, la “piazza” brutta era e tale è rimasta, e di panchine e fioriere neanche a parlarne. Tutto ciò denota quanto, spesso, l’approccio al concetto di “riqualificazione” sia superficiale, connotando l’idea assolutamente distorta che se ne ha: la s’intende quale atto fisico finalizzato a conferire pregio a un determinato luogo urbano (o a un immobile), ma si attua senza programmare la necessaria futura e proficua utilizzazione dello stesso. Ne è esempio la Chiesa della Raccomandata: è stata fisicamente “restaurata” ma non è mai stata assegnata a chi (Italia Nostra di Sciacca, presieduta dall’arch. Calogero Segreto), profondendo impegno e competenza, avrebbe tutti i requisiti per conferirle una funzione d’uso che rendesse possibile un’ulteriore “riqualificazione” dei valori culturali della città.
Il motivo dell’impossibilità d’assegnazione è stupefacente: non si può abilitarla all’uso poiché, così come accadde nel 2003 per l’albergo sul Monte Kronio appena ristrutturato (con soldi pubblici), è mancante dell’adduzione allo scarico fognario. Entrambi i fatti dovrebbero essere pane per la magistratura.
Ma torniamo alla piazza Sturzo/Belvedere. La stazione di servizio era un importante simbolo sociale e architettonico. Faceva parte della tipologia di quelle costruite negli anni ’50 e ’60 in tutta Italia (da Aosta a Sciacca), progettate dall’arch. Mario Bacciocchi su commessa dell’Agip di Enrico Mattei, fondatore dell’Eni e imprenditore/dirigente pubblico che più di ogni altro ha incarnato gli anni del “miracolo economico italiano”. Essendo elementi funzionali al mezzo di trasporto meccanico su gomma, divennero testo architettonico di quella precisa epoca, assurgendo a uno dei simboli del cambiamento in atto nella struttura sociale, che faceva della “modernità” il proprio credo, ben rappresentato dall’automobile, dalla motocicletta, dalla Vespa e dalla Lambretta. Anche a Sciacca, quel testo architettonico messo lì, a Porta Palermo, era perfettamente contestualizzato per rappresentare quella fase di cambiamento della città. Bisogna ricordare che, prima, tra e dopo le guerre mondiali, storicamente in quel luogo convergeva chi, all’alba di ogni giorno, a piedi o al massimo in groppa all’asino, andava a cercare lavoro. Era un’area fisiologica al “sistema-città” poiché lo serviva rispetto le esigenze del tempo, luogo di primaria importanza per l’economia della città poiché punto di ritrovo della manodopera (non solo agricola). Fu dagli anni ’50 che iniziò a riempirsi anche di mezzi di trasporto meccanici, frutto dell’innovazione tecnologica che accelerava l’evoluzione del lavoro e l’innovazione della società.
Chiaro, allora, che per ciò che rappresentava, nessun luogo era più adatto a ospitare la stazione di servizio, che identificava il nuovo contesto sociale. Abbattendola si è perso un “testo” che raccontava una fase storica della società, un simbolo che in altre parti d’Italia è addirittura finito sotto tutela della Soprintendenza (Milano); è stato oggetto di proteste della cittadinanza per evitarne la distruzione (Massa) e d’inserimento nel Piano di Tutela (Pisa); è riutilizzato convertendone la funzione d’uso (decine di esempi). Di fatto, a Sciacca non sono nate neanche le panchine e le fioriere promesse in sua sostituzione, ma vi è stato posto quell’inverecondo gabbiotto, in ferro e vetro, sempre lercio, in stile falso antico (parleremo di questo aberrante aspetto occupandoci del significato di “arredo urbano” in un prossimo intervento). Anche quest’area residuale può certamente essere trasformata in un luogo che sia “organo vitale del sistema-città”, soprattutto a vantaggio dei residenti, dando loro la possibilità di usufruire di una piazza che tale sia. L’operazione non sarebbe per nulla complicata e la piazza potrebbe essere realizzata senza creare alcun problema al traffico veicolare nonostante ci si trovi in uno dei nodi stradali più eterogenei della città, che potrebbe essere così razionalizzato. Con piccole modifiche al primo tratto di Via Kronio sarebbe molto semplice riorganizzare la viabilità, gestendo i flussi per mezzo di semafori. Rendere pedonale l’area oggi del parcheggio significherebbe creare una piazza che, in ottica di una città (anche) turistica, sarebbe molto più consona alle attività commerciali che su essa affaccerebbero. Il PRG individua in “E.6” (verde privato destinato a orti, giardini e attrezzature di pertinenza di privati) lo spazio aperto racchiuso tra i condomini di Via Maglienti, Via Campanella e Via Madonna della Rocca, tralasciando del tutto l’idea che vi si potrebbe inserire un piccolo parcheggio multipiano atto ad attutire la sosta selvaggia che oggi devasta l’area fuori Porta Palermo. Basterebbero due livelli interrati e altrettanti fuori terra, con capienza di circa 160 posti, di cui una parte riservata ai residenti della zona. L’accesso pedonale sarebbe garantito dal varco esistente tra gli edifici posti all’angolo di Via Maglienti con Piazza Belvedere, potendo così scendere da quest’ultima sino all’area del parcheggio; quello carrabile, invece, da Via Campanella. L’edificio del parcheggio non dovrà essere concepito quale oggetto amorfo e denunciante la sua funzione; a parte i due piani interrati, quelli fuori terra dovranno essere pensati in struttura metallica modulare (dunque smontabile), separati dagli edifici circostanti da una cortina di alberi posta intorno al perimetro, creando una barriera naturale e inglobando il parcheggio in un’area a verde usufruibile quale piccolo giardino. Tra l’altro, muterebbe anche la valenza dei prospetti degli edifici che affacciano su quest’area con quello che è considerato il “prospetto secondario”). La funzione di destinazione prevista dal PRG potrebbe essere collocata sulla sua copertura, creando un giardino/orto urbano accessibile dal citato varco di passaggio, ponendolo in continuità con la nuova piazza Sturzo.  Così facendo, si avrebbe un sistema di connessione che, sulla direttrice Piazza Belvedere – giardino/parcheggio – Via Campanella, connetterebbe pedonalmente l’area di Porta Palermo con quella dell’ipotetico parco urbano del Cansalamone (n.d.a. – di cui abbiamo parlato nell’articolo precedente, prima parte dell’argomento trattato). La possibilità di rigenerare un luogo qual è l’attale Piazza Sturzo/Belvedere coinvolgerebbe così altre aree organiche al “sistema-città”.
Via Eleonora d’Aragona (Piazza Scandaliato / Via Stazione) – Area residuale. Posta “sotto” la Piazza Scandaliato, è identificata quale “area verde del centro” ma, invero, nulla ha per fregiarsi di tale denominazione.
Per lo stato di fatto in cui si trova, anche in questo caso è possibile parlare di “area residuale” poiché non ha alcuna destinazione d’uso ed è in stato di abbandono. Una situazione non rispondente alle istanze contemporanee, che la connotano diversamente rispetto al passato, quando era secondaria e marginale rispetto alla Piazza  ed era semplicemente  identificata con ciò che le stava “sotto”. La Piazza era il fulcro della città, punto d’arrivo della confluenza da ogni parte della stessa, il suo centro civico, luogo principale di ritrovo e di relazione sociale. Era elemento urbano primario definito fisicamente dalla ringhiera verso mare, che determinava un vero e proprio limite oltre il quale si poteva andare solo con la vista e, come detto, tutto ciò che le stava “sotto” non aveva particolare valenza. Un ruolo che, per una serie di motivi, la Piazza ha oramai perso, vivendo un forte calo di popolarità. Per tornare a essere elemento urbano primario abbisogna dell’immissione di funzioni che non siano semplicemente il “passeggio”, la sfilata carnevalesca o brevi usi per festival vari. L’imperativo dovrebbe essere quello di connettere la Piazza a ciò che le sta “sotto” e, da qui, connetterla sino al porto e al Borgo dello Stazzone: parliamo di Via Eleonora d’Aragona, “area residuale” che si porrebbe così quale elemento urbano rigenerativo della connettività, senza soluzione di continuità, tra altri elementi urbani. Vero, esiste già la scalinata che dalla Piazza scende sino a Via della Stazione, ma è anacronistica poiché, la sua tipologia (percorso rigido, dal punto A al punto B) tende a escludere la fruizione organica delle aree su cui insiste. Le previsioni del PRG si limitano a retinare l’area in oggetto con la destinazione “(E.3) agricola boscata”, inserendovi un “collegamento meccanizzato tra parcheggi”, che andrebbe da Piazza M. Rossi all’area posta oltre quella dell’ex stazione, dove lo stesso PRG prevede la costruzione ex novo del molo portuale (destinazione commerciale/turistica). E’ un modus operandi paesaggisticamente banale e riduttivo, che collega i due parcheggi limitandosi a tracciare un percorso che va dal punto A (nuovo molo) al punto B (piazza Rossi); si esclude così a priori la possibilità di vivere, senza soluzione di continuità, il percorso che potrebbe collegare il Borgo dello Stazzone a San Michele, lungo il quale collocare funzioni eterogenee e fisiologiche al “sistema-città”, in questo caso prioritariamente in accezione turistica. Tra l’altro, il collegamento “A-B” meccanizzato, prima d’inerpicarsi per il pendio con (presumibilmente) le scale mobili, passerebbe nell’area dell’ex stazione, individuata con D.1.5 (destinata a commercio e residenza), conferendogli -ancora di più- un’ottima “rendita di posizione”, a discapito del Borgo dello Stazzone (n.d.a. – di cui abbiamo parlato nell’articolo precedente, prima parte dell’argomento qui  trattato). Proviamo, in alternativa, a creare un percorso che interconnetta, senza soluzione di continuità, i citati elementi urbani.
Immaginiamo la creazione di una terrazza al di “sotto” della Piazza, posta sulla copertura di un piccolo parcheggio multipiano assemblato “a ponte” su Via Eleonora d’Aragona, elevato in corrispondenza dell’attuale parcheggio a raso ma lasciando il passaggio delle automobili verso Via Porta di Mare. Una terrazza che sia direttamente accessibile da Piazza Scandaliato e che, scendendo al livello di Via Eleonora d’Aragona, si connetta e connetta anche la Piazza ai vicoli Consiglio, alla Salita Scandaliato (convergenti in Via Caricatore) e alla Via Vespucci (convergente in Vicolo Galleria e, da qui, in Via Stazione). Si creerebbero più percorsi paesaggistici, in continuità sino all’area portuale e, da questa, al Borgo dello Stazzone o, se mai fosse realizzato quello del Fondaco Bernardo, alle Terme, passando da Rocca Regina. La stessa Piazza Scandaliato ne trarrebbe vantaggio: manterrebbe la sua originaria funzione (passeggio/aggregazione e affaccio panoramico) e diverrebbe il fulcro della connessione di uno dei percorsi possibili “Borgo dello Stazzone – Porto – San Michele” (la straordinaria conformazione del tessuto urbano di Sciacca ne permette molteplici: ad esempio, scendere da San Michele sino al Borgo dello Stazzone passando dalla Villa Comunale – Terme – Rocca Regina; oppure passando dalla Chiazza – Piazza Duomo – discesa Campidoglio).
La nuova tipologia della Piazza dovrà essere supportata dall’immissione di funzioni commerciali di ristoro (strutture amovibili), poste direttamente su di essa e sulla terrazza su Via Eleonora d’Aragona. La realizzazione del parcheggio (massimo di due piani) sarebbe semplice se si utilizzasse il sistema reversibile metallico/ modulare (li troviamo negli aeroporti, vedi Palermo), tecnica che non comporterebbe alcuna “cementificazione” o danni ai terrazzamenti esistenti che, anzi, sarebbero luoghi da sfruttare creandovi aree di sosta nel verde, connesse direttamente con l’area sottostante alla Via Eleonora d’Aragona, riprogettata quale parco urbano, da cui proseguire per l’area portuale. Siamo in zona tutelata dal Piano Paesaggistico ma interventi di questo genere non creerebbero alcun danno né mutazione dei luoghi o irreversibilità. Altra necessaria operazione sarebbe la pedonalizzazione di Piazza Rossi, che diventerebbe un’area altrettanto importante per il “sistema-citta”, soprattutto se dovesse essere realizzato il parcheggio interrato posto nell’area sottostante, digradante sino Via F.lli Argento/Via Stazione (la qualcosa, ovviamente, sarebbe auspicabile ed eviterebbe di pensare quello -molto meno capiente- su Via Eleonora d’Aragona, di cui si è parlato). Dobbiamo mettere da parte tutti i pregiudizi sui parcheggi interrati: ne troviamo in tutte le città che hanno un nucleo antico di pregio (Perugia, Belluno, etc.), compresa Assisi dove è situato a ridosso di Piazza San Francesco (al cui lato ovest stanno le Basiliche Inferiore e Superiore), risolvendo così il problema dell’afflusso veicolare. Con tutto il rispetto per Sciacca, Assisi ha altra storia artistica e turistica, ma lì si è comunque andati al passo con i tempi, innovandosi anche nelle infrastrutture, assolutamente fisiologiche alle esigenze (anche turistiche) contemporanee.
La Villa Comunale – Area residuale. Si tratta di fondamentale elemento urbano connotato dai valori di antichità e di storicità, di cui Sciacca non potrebbe fare a meno poiché rappresenta una precisa fase della sua storia.
La Villa è antica poiché realizzata nel 1880, mentre storica lo è per più motivi.
Sorta quale elemento urbano pianificato, rappresentò un mutamento epocale nell’innovazione della struttura urbana, che con essa si estese oltre la cinta muraria, iniziando a porre in relazione diretta il Nucleo Antico con l’area edificata della Marina, prima di allora nucleo a sé stante poiché posto al di fuori della cinta muraria. Inoltre, si concretizzava la possibilità che le aree a verde della città, sino a quel momento ad appannaggio esclusivo della elitè delle classi sociali (giardini privati), fossero fruibili da tutti i cittadini.  E’ soprattutto per questi due valori di storicità che, all’atto della sua realizzazione, svolgendo una funzione centrale nel “sistema-città” (che coinvolge appieno l’aspetto socio-economico), la Villa ne fu, subito, organo fisiologico. Oggi, a causa della sua estraneità alle dinamiche -non sempre positive- che la città contemporanea sottintende, non è più in relazione con essa, anche se ciò non ne giustifica l’assoluta mancanza di manutenzione e le avventate destinazioni d’uso di attività commerciali che vi sono state inserite (sia quelle mai realizzate all’interno, sia quelle attive poste lungo il lato d’ingresso) che ne hanno inficiato la bellezza. Difendere l’integrità tipologica, botanica e d’uso della Villa Comunale è legittimo e condivisibile; non si deve però precludere la possibilità di potenziarne le funzioni.  Pur senza il bisogno d’inserirvi attività commerciali, la Villa deve essere rigenerata per poi, nel suo ruolo di elemento nodale per la continuità dei percorsi paesaggistici, essere organica alla città. In poche parole, avere una concezione “moderna” della Villa Comunale non significa certo cementificarla; “modernità” è «trasformare la crisi in valore (Jean Baudrillard)» ed è indubbio che essa viva una profonda crisi, che non può risolversi se non rendendola parte del “sistema-città”. Fermo restando che la sua funzione originaria non debba essere sovvertita ma, piuttosto, rivalutata, va però potenziata in sinergia con altre che siano atte a renderla elemento connettore tra il Nucleo antico e l’area delle Terme e, attraverso il Fondaco Bernardo, sino al molo di Rocca Regina (dunque all’area portuale). Allo stesso tempo, potrebbe essere il “foyer all’aperto” del Teatro Popolare tramite il collegamento con l’area a questo antistante, divenendo luogo in cui intrattenersi prima e dopo lo spettacolo. Un foyer atipico, ma certamente esclusivo. Se la discesa alle Terme o alla Rocca Regina e l’accesso al teatro avvenissero passando dalla Villa, va da sé che se ne vivrebbe costantemente la bellezza. Il PRG, nella versione adottata dal Comune di Sciacca nel 2015, presenta una scala tra la Villa e l’area antistante al Teatro Popolare. Se con tale soluzione si afferma la possibilità di attuare quanto sopra detto, nella sostanza l’errore è grossolano poiché esclude a priori quello che è il vero elemento chiave necessario alla continuità “Nucleo antico/mare”: la pedonalizzazione dell’area laterale e di quella antistante l’edifico delle Terme, così da creare un vero “piazzale” chiuso al traffico davanti all’edificio termale. Errata anche la scelta della scala quale elemento tipologico/architettonico per unire le due aree; si tratta di percorso lineare e mono-prospettico/direzionale, assolutamente statico, che esclude la continuità dinamica spazio-temporale (percorrere lo spazio cambiando continuamente punto di vista) imponendo esclusivamente la funzione di congiungere il punto A con il punto B. Piuttosto, considerando la loro intensità di bellezza, nella discesa verso le Terme (e viceversa, dalle Terme alla Villa) la molteplicità dei punti di vista paesaggistici dovrebbe essere colta seguendo più direzioni.
Rigenerare la Villa Comunale produrrà effetti positivi per la stessa e per le aree della città che essa metterà in diretta relazione (si veda la possibilità del percorso San Michele – Castello Luna – Santa Caterina – Giummare – Villa – Terme – Fondaco Bernardo – Rocca Regina – Porto – Borgo dello Stazzone); a questo proposito, in prima battuta, sarebbe necessario eliminare la barriera della recinzione esistente (tra l’altro di nessun valore) affinché la permeabilità nell’area sia in continuità con la città.
Vero è che la recinzione è elemento che ha connotato la Villa sin dalla sua nascita, ma ha poco senso continuare a farne un “giardino chiuso” nella città contemporanea, soprattutto se, come descritto, dovesse diventare elemento connettivo. Ovviamente, rigenerarla impone anche che sia liberata dalle strutture da “cibo da strada” che sono poste ai lati del cancello d’ingresso, tra l’altro su area carrabile creando così un’assurda congestione causata dalle auto degli avventori, ferme in carreggiata e, non raramente, addirittura proprio sull’ingresso alla Villa. Sono funzioni che, preservando il diritto al lavoro dei licenziatari, andrebbero spostate su Piazza Saverio Friscia, in apposite strutture progettate ad hoc, che non abbiano parvenza di baracconi da luna park quali ora sono.
Area tra Via Lido e Via Allende – Spazio di risulta. Ci si riferisce a quell’area in pendio posta tra il versante sud della Perriera e la Via Lido/Tonnara, anch’essa -come quella del Cansalamone- risultante dallo sviluppo del nuovo quartiere. Allo stato attuale, dal punto di vista squisitamente paesaggistico/estetico è derelitta (sterpaglie), mentre è dannosa da quello materiale poiché da essa provengono i detriti e la fanghiglia che, a ogni violenta pioggia, si depositano contro le recinzioni delle abitazioni del tratto centrale di Via Lido. E’ la più semplice da rigenerare. Il Piano Paesaggistico la pone sotto “Tutela 2”, determinandone la “conservazione del patrimonio naturale attraverso interventi di manutenzione e rinaturalizzazione delle formazioni vegetali, al fine del potenziamento della biodiversità”. Allo stato dei fatti, l’unico “patrimonio naturale” di cui dispone è quello delle sterpaglie, dunque la strada da seguire è quella della “rinaturalizzazione delle forme vegetali”.
L’adottato PRG destina la zona in “(E.2) agricola non edificabile”, che ben si sposa con la possibilità sopra esposta. La metodologia operativa dovrà essere quella delle tecniche dell’ingegneria naturalistica, demandando così alla vegetazione l’azione di “rigenerazione” di questo “spazio di risulta”.
Si valuti l’azione anti erosiva e di contenimento del dilavamento (tutto quella terra che poi si riversa su Via Lido) che ne deriverebbe, considerando altresì che si escluderebbe qualsiasi opera in cemento armato. Vero è che, a causa di alcuni fattori naturali, i tempi di entrata a pieno regime di questo sistema sarebbero più lunghi rispetto alle artificiali opere invasive ma, per una corretta pianificazione che sia poi giovamento definitivo, il gioco varrebbe la candela. Potrebbe essere l’occasione per ricreare ciò che sparì con l’edificazione del quartiere Perriera, cioè la distesa di uliveti esistente sino alla prima metà degli anni ’70 del XX sec., che caratterizzavano quella parte di campagna del territorio. Considerando che quest’area non è più “campagna”, si dovrebbe però farlo in termini contemporanei creando un “giardino/uliveto” in cui, oltre alla scala di collegamento diretto (già inserita nel programma triennale delle opere pubbliche 2016-2018; non conosco il dettaglio del progetto, ma mi auguro sia, appunto, pensato secondo i criteri dell’ingegneria naturalistica), sia prevista anche una serie organica di percorsi connettivi tra la zona costiera e il quartiere Perriera, con aree di breve sosta. Percorsi che partano da più punti (si sta parlando di un fronte che su Via Allende si sviluppa per circa 800 metri), composti di semplicissimi sentieri in terra battuta (al massimo in selciato reversibile) e da una pista ciclabile che s’innesti a quella che dovrebbe nascere lungo il sedime della ex linea ferroviaria di Via Lido.
L’obiettivo sarà duplice: rigenerare l’intera area dal punto di vista naturalistico e, al contempo, renderla organica al “sistema-città” conferendogli una precisa funzione connettiva tra le “parti” Perriera e litorale-mare di Via Lido, connettendosi all’auspicato “lungomare” pedonale/pista ciclabile.
I casi esaminati sono parziali rispetto a tutti quelli che andrebbero presi in carico, ma l’obiettivo degli interventi è semplicemente quello di evidenziare la necessità di prendere atto delle criticità della città.
Nei prossimi interventi si toccheranno i temi della rigenerazione delle periferie, dei beni storico-artistici, dell’arredo urbano.
N.B.
Le ipotesi di progetto riportate nelle immagini devono essere intese quale mera esemplificazione. Si ribadisce l’auspicio che l’amministrazione comunale possa programmare l’affidamento dello studio delle criticità della città a professionisti riuniti in gruppo, in prima battuta certamente a titolo gratuito quale contributo alla città.

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