Ad andare in scena, nel teatrino della politica di Sciacca, negli ultimi giorni sono stati il senso della colpa e quello del peccato. Una pièce senza colpi di scena, dove i protagonisti del dibattito pubblico si proclamano ora giudici, ora avvocati. E viceversa, s’intende. Terme, tasse, rifiuti e Teatro sono stati solo gli ultimi atti di una commedia interminabile, tra conferenze stampa e rispettive difese. Tutto a fungere da preludio ad una Pasqua nella quale a giganteggiare sono state, ad un tempo, arringa e requisitoria, nella ricerca disperata della colpa e della discolpa. La contrapposizione è (manco a dirlo) tra meriti e demeriti, in una politica, quella moderna, che si conferma agone di una contrapposizione che talvolta appare niente più che vendicativa, triste specchio di una società che continua ad invocare il sangue del capro espiatorio da usare come lavacro delle proprie frustrazioni. E quella classe dirigente che tenta di dare un esempio diverso rischia di rimanere inascoltata o, addirittura, derisa. Perché la verità purtroppo rimane sempre che lo statista pensa alle prossime generazioni, mentre il politico solo alle prossime elezioni. Ma c’è di peggio. Gli attori di questa messinscena sono talmente presi dal pathos della recitazione da non accorgersi che, nel frattempo, il pubblico ha abbandonato le poltrone.