È il pomeriggio di lunedì, 12 maggio 1986. Si accinge a raggiungere il crepuscolo quella che è stata una splendida giornata di sole. A Sciacca c’è un gran fermento. È qui, nella città delle Terme, che si conclude la prima tappa del sessantanovesimo Giro d’Italia, una delle più importanti corse di ciclismo del mondo. I concorrenti in gara provengono da Palermo, da dove sono partiti nelle ore precedenti. Stanno completando i 140 km che separano le due località. A Sciacca, nel viale della Vittoria, dove gli organizzatori hanno collocato il traguardo, la gente è assembrata, curiosa, sorridente, perfino apprensiva per le sorti degli atleti, anche se non ne conoscono che un paio, giusto Guido Bontempi, Greg Lemond o Roberto Visentini, colui che sarà il vincitore finale.
Quel pomeriggio c’è una grande aria di festa, a Sciacca. Non c’è un saccense, peraltro, che non abbia tra le mani una copia della Gazzetta dello Sport, il quotidiano sportivo a cui il Giro è storicamente legato e che da ore viene distribuito gratuitamente, colorando di rosa un’intera città. Si sente quasi palpabile nell’aria il privilegio che Sciacca sente per essere stata scelta come meta di un evento così importante.
Sul palco le hostess al seguito del grande circo del Giro sono già pronte a consegnare maglia rosa e fiori al primo vincitore. Al quale saranno anche destinati due bei baci sulle sue fortunate guance. Nelle case di tutti gli italiani, attraverso Raidue, vengono trasmesse in diretta le immagini dall’elicottero e quelle girate dagli operatori a bordo delle motociclette a pochi metri dalla testa della corsa. Talvolta la diretta “stacca” sul traguardo, sui volti curiosi di quella gente che da dietro le transenne aspetta ansiosamente l’arrivo del primo gruppo di ciclisti che taglieranno la linea dell’arrivo.
Dai teleschermi intanto la voce di Adriano De Zan racconta “live” le gesta di Sergio Santimaria. È lui il leader del gruppo, sarà lui tra pochi minuti ad aggiudicarsi la prima tappa. Mancano pochi chilometri al traguardo, una decina, quando il grande telecronista apprende di una caduta. Ne riferisce, garantisce che non appena se ne saprà di più fornirà ai telespettatori gli opportuni aggiornamenti.
Si apprenderà più tardi che, mentre stava pedalando di gran lena, il ciclista Emilio Ravasio, 24 anni, professionista già da un paio d’anni, nato a Carate Brianza, componente della squadra dell’Atala, improvvisamente ha perduto l’equilibrio. Il ciclista è caduto per terra, sbattendo violentemente la testa sul selciato. Un brutto incidente, molti degli altri concorrenti se ne sono accorti. Eppure, dopo il disorientamento iniziale, Emilio si rialza, rimontando stoicamente in sella. Mancano dieci chilometri al traguardo. Lui, fortemente contuso, li copre per intero. Non ha perso conoscenza, ma non sa ancora di aver subito una gravissima commozione cerebrale. Emilio completa la tappa, arriva a Sciacca, assiste perfino alla premiazione, scambia diverse battute con i suoi colleghi, parla anche con i medici, racconta cosa gli è appena successo.
Arriva anche in albergo, Emilio Ravasio, per prendere possesso della stanza che gli è stata assegnata. I concorrenti trascorreranno la notte a Sciacca, occorre riposarsi, l’indomani si riparte. Destinazione: Catania, 259 i chilometri. Ma non appena mette piede nella hall del Grand hotel delle Terme Emilio Ravasio stramazza per terra. È il momento che il trauma cranico mostra i suoi effetti. Accade a scoppio ritardato, e forse è questo a risultargli fatale. Il corridore viene soccorso immediatamente. Ma al vicino ospedale i medici possono fare ben poco. Ne dispongono così il trasferimento d’urgenza al Civico di Palermo. Qui Emilio Ravasio viene sottoposto ad un delicato intervento chirurgico. Ma il giovane atleta non si sveglierà più. Spirerà quindici giorni dopo, proprio quando il Giro è dalle sue parti, ossia in Brianza. È da Erba, infatti, che parte la sedicesima tappa da 143 chilometri che culmina a Foppolo, nel bergamasco. Ed è proprio nei pressi di Foppolo che qualche tifoso di ciclismo espone un toccante striscione: “Ravasio, vinci il tuo Giro”. Ma purtroppo è un’invocazione del tutto vana. Emilio Ravasio è morto.
Adriano De Zan dà la notizia agli ascoltatori poco dopo aver annunciato la vittoria della tappa da parte dello spagnolo Pedro Muñoz. Emilio Ravasio, brianzolo, è morto a soli 24 anni, in terra di Sicilia.
Il nome di Emilio Ravasio oggi è su una lapide affissa in una via all’ingresso della città di Sciacca, a pochi metri dalla zona in cui era stato ubicato il traguardo di quella maledetta prima tappa del Giro d’Italia 1986. La città gli ha reso omaggio intitolandogli una strada. Emilio Ravasio, vittima di un incidente ma anche simbolo dello sport. Di un atleta che dopo essere caduto dalla bicicletta ed aver battuto la testa risale in sella per raggiungere il traguardo. Senza pensare a vacue vittorie o stupide sconfitte. Perché Ravasio sa bene che per uno sportivo tagliare il traguardo significa aver vinto. Sarà però la sua ultima “vittoria”.
Questo racconto è stato pubblicato qualche anno fa sul sito malgradotuttoweb.it