Il reato di maltrattamenti in famiglia si configura anche per offese, insulti e umiliazioni psicologiche. La recente sentenza della Cassazione condanna una moglie per violenza verbale e pressioni psicologiche sul marito.
Umiliare e insultare ripetutamente il coniuge può integrare il reato di maltrattamenti in famiglia. A stabilirlo è la Corte di Cassazione che, con la sentenza n. 14522/2022, ha ribaltato l’assoluzione di una donna accusata di vessazioni psicologiche e verbali nei confronti del marito. Il caso ha suscitato attenzione perché conferma che la violenza domestica non è solo fisica, ma può essere riconosciuta anche nelle condotte verbali offensive e reiterate, capaci di ledere la dignità e l’integrità psico-fisica della vittima, senza distinzioni di genere.
Inizialmente, la Corte d’Appello aveva assolto la donna, ritenendo che ingiurie e minacce non gravi non fossero sufficienti a configurare il reato di maltrattamenti. Tuttavia, la Cassazione ha ribaltato questa decisione, riconoscendo il comportamento reiterato della donna come una forma di violenza psicologica sistematica, aggravata dal fatto che le offese avvenivano davanti al figlio minorenne.
La donna era stata in precedenza condannata in primo grado a due anni e sei mesi di reclusione per le seguenti condotte:
Queste condotte hanno creato un ambiente familiare intollerabile, tale da spingere il marito a rimanere in casa solo per paura di perdere il rapporto con il figlio.
La Corte di Cassazione ha chiarito che il reato di maltrattamenti non richiede necessariamente violenze fisiche, ma si configura anche in presenza di comportamenti offensivi ripetuti, sorretti da dolo generico, cioè dalla consapevolezza di arrecare sofferenza alla vittima.
In particolare, la Cassazione ha sottolineato che:
“Integra il delitto di maltrattamenti in famiglia anche la privazione della funzione genitoriale di un coniuge, ottenuta tramite lo svilimento della sua figura morale agli occhi dei figli, specie se questi assistono sistematicamente alle vessazioni.”
Questa interpretazione rafforza la tutela della dignità personale e genitoriale, evidenziando l’impatto devastante che la violenza psicologica può avere non solo sulla vittima diretta, ma anche sui figli minori, costretti ad assistere a continui episodi di umiliazione e conflitto.
Chi si rende responsabile di maltrattamenti in famiglia rischia pene fino a sette anni di reclusione, con aggravanti se il reato è commesso in presenza di minori. Anche le condotte verbali e psicologiche ripetute, se finalizzate a sottomettere o umiliare il partner, possono configurare il reato, come confermato dalla Cassazione.
Questa sentenza rappresenta un importante passo avanti nel riconoscimento della violenza psicologica all’interno delle mura domestiche, offrendo maggiore protezione alle vittime, indipendentemente dal genere, e contribuendo a contrastare ogni forma di abuso familiare.