Non è nato nei sobborghi delle grandi metropoli americane come i grandi sassofonisti jazz del calibro di Sonny Stitt. Non è venuto su respirando il melting pot culturale del quartiere Marianella di Napoli come Enzo Avitabile. Giuseppe Santangelo è cresciuto guardando dalla finestra di casa le pendici del Monte Kronio, ma la musica di quel sax si è fatta sempre più ispirata negli anni: dapprima come autodidatta e successivamente con il confronto di grandi maestri musicisti che ha incontrato nel suo lungo percorso di perfezionamento. Oggi che di musica vive e lavora nel milanese, il suono di quel sassofono si è fatto ancora più raffinato arrivando alla maturità nella scrittura delle otto tracce di “Darshan”, primo disco di una serie di tre che vedranno la luce successivamente, quello che oggi con certi inglesismi viene definito “concept album”.
E “Darshan”, album di esordio del sassofonista siciliano con il suo quartetto composto da Giulio Stromendo al piano, Marco Brambilla al basso e Riccardo Bruno alla batteria, si potrebbe definire una sorta di “viaggio mistico e sensuale” parafrasando Battiato, autore tra le altre cose molto caro a Giuseppe, in cui il musicista saccense affronta un percorso filosofico-spirituale di ispirazione orientaleggiante, definito Apramada Project.